TROPPO AZZURRO

Locandina Un film di Filippo Barbagallo. Con Filippo Barbagallo, Alice Benvenuti, Martina Gatti, Brando Pacitto, Valeria Milillo, Valerio Mastandrea. Genere Drammatico - Italia, 2023. Durata 88 minuti circa.


Trama

Dario studia Architettura e vive con i genitori da figlio unico supercoccolato. Quando mamma e papà partono per le vacanze estive decide di non seguirli sperando di poter unire le forze con gli amici di sempre, in primis Sandro, che conosce fin dai tempi dalle medie. Ma gli amici hanno già fatto programmi con le rispettive ragazze e Dario, che "sta bene da solo" e ha una cotta storica non ricambiata per la conturbante Lara, rimane nella Capitale. Mentre si cucina una triste platessa surgelata si tira addosso l'olio bollente e finisce al pronto soccorso dove incontra Caterina, anche lei infortunata e temporaneamente a Roma, in attesa di tornare nella sua Rimini. Tra i due nasce un'attrazione, dunque la scelta logica per Dario sarebbe quella di seguire Caterina e trascorrere con lei le vacanze sulla riviera romagnola. Ma dovrà fare i conti con il suo carattere restio dal freno a mano sempre tirato e con l'abitudine a non svegliarsi in tempo utile.

Troppo azzurro, lungometraggio di debutto scritto, diretto e interpretato da Filippo Barbagallo, è un film curioso, e la supervisione artistica di Gianni Di Gregorio è un segnale importante, perché il ritmo pacato, che segue l'indolenza del protagonista, ricorda quello del regista di Pranzo di Ferragosto.

Solo che qui parliamo di ventenni, e dunque l'inedia di Dario fa più impressione di quella di un boomer: ma è assolutamente realistica, perché molti ragazzi (maschi) della sua generazione sono spaventati dalla vita e si tirano indietro davanti ai rapporti con gli altri, in particolare quelli sentimentali.

Sarà colpa dei genitori iperprotettivi, o di quel mondo intorno che ripete ai giovani che non c'è posto per loro? Difficile capire dove finiscano le responsabilità altrui e dove inizino quelle individuali per un giovane uomo cui non manca niente, ma che ritiene che "il proprio senso sia nel suo stare fermo", come un Oblomov contemporaneo, accontentandosi di osservare, come il Nabokov de "L'occhio". Le sue coetanee invece sono lucide e fattive, ma sanno anche essere affettuose e accoglienti, mettersi in gioco e rischiare, e il loro tallone d'Achille sembra essere proprio quello di essere attratte dai "casi umani" come Dario.

Troppo azzurro è fatto di momenti sospesi, sta bene nella sua dimensione minimale come Dario nel lettone di casa, allarga e restringe lo schermo per aderire ai margini di un cellulare, fraziona lo schermo per raccontare gli istanti di un risveglio romantico, giocando con i format della contemporaneità senza per questo diventare meno cinematografico: i suoi modelli sono più Di Gregorio e Moretti che i content creator del web.

L'esordio alla regia di Barbagallo è il ritratto di un ipocondriaco dell'anima, un ansioso strutturale terrorizzato da ciò che "potrebbe succedere dopo" e che considera barbara la sveglia alle 10. E il neoregista, senza grandi velleità ma con molta gentilezza, fa bene il punto su un tipo umano che conosce, e che sembra essere molto frequente nella contemporaneità.