THE BRUTALIST

Locandina Un film di Brady Corbet. Con Adrien Brody, Felicity Jones, Guy Pearce, Joe Alwyn, Raffey Cassidy, Isaach De Bankolé, Jonathan Hyde, Emma Laird, Stacy Martin, Alessandro Nivola, Peter Polycarpou, Michael Epp, Jaymes Butler, Nick Wittman, Natalie Shinnick, Jeremy Wheeler, Matt Devere, Stephen Saracco, Peter Linka, Rudolf Molnár, Zephan Hanson Amissah, Ariane Labed, Salvatore Sansone, Levente Orbán, Benett Vilmányi, Abigél Szõke, Zsolt Páll, Anna Mészöly, Mariann Hermányi, Laurent Winkler, Hermina Fátyol, Dóra Sztarenki. Genere Drammatico - Gran Bretagna, 2024. Durata 215 minuti circa.Cercare una nuova vita in AmericaUna famiglia fugge dall'Europa per costruirsi una nuova vita in America. I loro sogni vengono però ostacolati.di Emanuele Sacchi


Trama

Tre decenni di vita dell'architetto ebreo László Tóth, emigrato dall'Ungheria negli Stati Uniti
nel 1947, dopo essere stato detenuto nei campi di concentramento tedeschi. Gli inizi in
America sono difficili, per le necessità economiche e l'impossibilità di poter portare con sé
la moglie Erzsébet e la nipote Zsofia, ma grazie al cugino Attila, a László viene
commissionata la ristrutturazione di una libreria dal milionario mecenate Harrison Lee Van
Buren. Il lavoro di Tóth porta prestigio a Van Buren, che decide di affidargli un progetto
mastodontico: la costruzione di un centro culturale e luogo di aggregazione, destinato a
ospitare nello stesso edificio biblioteca pubblica, palestra e cappella. Durante il lavoro Tóth
incontra molte difficoltà, per le diffidenze verso gli stranieri e per i continui tentativi di
alterare il suo progetto originario, ma pur di difendere strenuamente il suo lavoro, arriva a
investirvi parte dei propri profitti.


Girato in 70mm per 215 minuti di durata (con un intervallo di un quarto d'ora), The Brutalist
è un'opera-monstre per proporzioni e ambizioni, che ha richiesto dieci anni di lavorazione
prima di essere portata a termine dal suo autore, Brady Corbet (Vox Lux).

Un inizio frenetico ci introduce ai personaggi principali, riassumendo quanto avvenuto in Ungheria
durante e dopo la Seconda guerra mondiale, per lasciare poi spazio a un rallentamento
del ritmo e dello svolgimento cronologico della biografia di Tóth. Lo spettatore
approfondisce la conoscenza del protagonista e comprende il suo rapporto di speranza e
disillusione, amore e odio, con gi Stati Uniti d'America, luogo dell'accoglienza e terra degli
uomini liberi secondo la vulgata e la retorica comune, ma tempio del profitto e dell'ipocrisia
nella dolente realtà. L'impatto con il continente rivela ben presto un retrogusto acre sotto
l'illusione del luogo dove tutto è possibile: Corbet sembra prefigurarlo inquadrando solo
con un'immagine ruotata di 90 gradi la Statua della Libertà, simbolo dell'accoglienza verso
gli stranieri approdati a New York. In Van Buren, László sembra aver finalmente trovato il
perfetto mecenate, un animo sensibile all'arte e disposto a lasciare la massima libertà
creativa all'artista magiaro. Dopo aver creduto alla generosità e alle belle parole spese da
Van Buren nei suoi confronti, però, Laszlo scoprirà il rovescio della medaglia: tra i due si
instaura una dinamica ambigua e altalenante, che simboleggia la relazione tra Usa e
Europa.

I primi ribadiscono con fierezza il proprio primato economico e di potere e la
capacità di ricavare un plusvalore da ogni cosa, ma lottano contro un atavico complesso di
inferiorità culturale verso la vecchia Europa (e in particolare quella giudaica e
mitteleuropea che farà fiorire tutte le arti statuintensi, a partire dal cinema). La dinamica di
potere e di abuso, personale e professionale, che si instaura tra i Van Buren e i Tóth si
nutre di queste tensioni insopprimibili, canalizzandole attraverso un progetto architettonico
irrealizzabile e per lungo tempo irrealizzato, che diventerà quintessenza dello stile
dell'ungherese. Lo spettatore scopre solo grazie all'epilogo molte ragioni, politiche e
personali, delle fissazioni dell'architetto, punti fermi su cui Tóth non è disposto a scendere
a compromessi. La rivoluzione del Bauhaus e il cemento del brutalismo si impongono,
come in una rivoluzione copernicana, anche in Usa, sostituendo materiali più costosi e
rimuovendo l'intermediazione del ricorso al simbolico. Lo stile brutalista rappresenta la
realtà nuda, per come è, senza intermediazioni né ricorsi al simbolico. Questo non
impedisce di anelare verso il misticismo dell'assoluto, ma al contempo ricorda sempre di
cosa siamo fatti e quali limiti e tragici errori - come l'aberrazione dei campi di
concentramento, che influenza direttamente lil capolavoro di Tóth - caratterizzano il

percorso dell'uomo. Tra le molte sottotrame, una parentesi girata a Carrara e in parte in
lingua italiana, e l'entusiasmo della comunità ebraica della Pennsylvania per la nascita
dello Stato di Israele, dove approderà Zsofia. Quella di Israele si prefigura come una
nuova Terra Promessa, come già era stata l'America per i migranti mitteleuropei: ancora
una volta illusoria e deludente rispetto alle aspettative, nel suo lascito per la posterità.
Notevole il cast, guidato da un Adrien Brody che torna ai fasti che gli permisero di vincere
un Oscar ai tempi di Il pianista.