Un film di Clint Eastwood. Con Nicholas Hoult, Toni Collette, J.K. Simmons, Kiefer Sutherland, Leslie Bibb, Zoey Deutch, Gabriel Basso, Chris Messina, Amy Aquino, Cedric Yarbrough, Drew Scheid, Adrienne C. Moore, KateLynn E. Newberry, Jason Coviello, Hedy Nasser, Ella Fraley, Chikako Fukuyama, Art Newkirk, Marc Demeter, Zele Avradopoulos, Rachel Walters, Shanita Wilburn, Kevin Saunders, Bria Brimmer, Mike McRobert, James Dormuth, Onix Serrano, Phil Biedron, Megan Mieduch, Rebecca Koon, Francesca Eastwood, Scott Alan Smith, Javier Vazquez Jr., Kurt Yue, Tom Thon, Kellen Boyle. Genere Drammatico - USA, 2024. Durata 114 minuti circa.A 93 anni Clint Eastwood gira il suo 40 film da registaL'ultimo film della prolifica carriera di Clint Eastwood.di Marzia Gandolfi
Justin Kemp, giovane uomo con un passato alcolico e un futuro da papà - la moglie aspetta la loro bambina -, è convocato come giurato in un sordido caso di omicidio alle porte di Savannah, in Georgia. La vittima, Kendall Carter, è stata presumibilmente picchiata a morte e abbandonata in un fosso dopo una violenta discussione col suo ragazzo, membro pentito di una gang di quartiere. Il colpevole ideale per i dodici giurati e per il procuratore della contea in piena campagna elettorale. Faith Killebrew espone i fatti e la vertigine sale. Justin, giurato numero 2, realizza progressivamente la propria colpevolezza nella tragedia avvenuta un anno prima, nel cuore della notte, sulla stessa strada dove si era convinto di aver investito un cervo. Sotto una pioggia battente di ricordi, il marito perfetto si scopre omicida involontario e si ritrova difronte a un dilemma morale: confessare, scagionando l'imputato, o sottrarsi alla giustizia, condannando un innocente?
La prima inquadratura è magnifica. Dopo i titoli di testa, che mostrano un'immagine di Themis, la dea della giustizia bendata con bilancia in una mano e glave nell'altra, osserviamo il volto di un'altra donna anche lei con la benda sugli occhi. È la moglie di Justin Kemp in procinto di scoprire la 'camera del figlio', che il marito ha allestito per farle una sorpresa. La fascia cade e la m.d.p. adotta il punto di vista della consorte su questo "brav'uomo", alcolista redento con cui ha deciso di rifarsi una vita. Clint Eastwood non ha più tempo da perdere, a 94 anni continua a girare con la regolarità di un metronomo e va dritto al punto, piombandoci in una (messa in) scena coniugale, un'immagine che il film metterà rapidamente in crisi. Giurato numero 2 gioca costantemente col motivo del visibile e dell'invisibile, dell'evidente e del nascosto: la sposa bendata, il protagonista abbacinato dal temporale, il testimone confuso dalla distanza, il pubblico ministero 'accecato' dalla carriera... L'autore passa il tempo a evidenziare i punti ciechi, quello che i personaggi non vedono o non vogliono vedere. Ma è tutto lì, in piena luce. La fotografia è limpida, l'illuminazione uniforme, l'inquadratura spinta al massimo punto di eccellenza, eppure tutti guardano senza vedere. E qui risiede la profondità del film, molto più che nel dilemma morale che deve affrontare l'eroe e che richiede una sola scelta giusta. Non è tanto la morale in sé a essere messa in discussione, quanto la nostra capacità di cogliere i fatti a cui applicarla.
Eastwood comincia informandoci meticolosamente su uno degli aspetti fondamentali del sistema giudiziario americano, la rigorosa selezione dei dodici membri della giuria popolare. Con la logica scrupolosa di Sidney Lumet (La parola ai giurati) si addentra nelle convinzioni e poi nei dubbi dei giurati che si confrontano, uno dopo l'altro, ma con l'idea perversa che il giurato migliore, quello che come Henry Fonda non vuole affrettare il destino dell'accusato, non sia altro che il colpevole. Nessuno spoiler, è tutto nel trailer e nel debutto del film. A colpi di flashback, (di)mostra che il giurato numero 2 è quasi certamente all'origine dell'atto criminale. Se il ripiegamento della colpevolezza all'interno del cerchio dei giurati priva improvvisamente lo spettatore di qualsiasi suspense futura, la grande originalità dello script di Jonathan Abrams consiste nello sviluppare un'altra forma di tensione ascendente, stringendo gradualmente il cappio intorno al suo antieroe in preda a un dilemma insostenibile. Così mentre tutti i giurati sono convinti della colpevolezza dell'accusato, Justin, roso dalla colpa, guadagna tempo e prova a convincere chi vuole soltanto chiudere rapidamente.
Manca un minuto a mezzanotte nel giardino del bene e del male, la giustizia ha fatto il suo lavoro e alla fine anche la polizia, sotto l'egida di un poliziotto in pensione, allontanato dal processo perché ha trasgredito le regole dell'imparzialità nel suo ruolo di giurato. Il personaggio incarnato da J. K. Simmons ci ricorda che siamo in un film di Clint Eastwood e che da Dirty Harry in poi, il poliziotto rimane soggetto dell'eccezione, sempre 'oltre il limite' per le regole dell'istituzione. Ma esce presto di campo, è un mediatore evanescente. Resta 'il giurato numero 2', quello che conosce la fine della storia e arriva in fondo a questa storia, in cui l'appello all'imparzialità della giustizia dimostra tutta la sua astrazione. È una finzione minata dall'intreccio di ragioni e sentimenti che pervade i giurati: la giovane donna che vuole vendicare una vittima del sessismo o l'educatore che ha perso un fratello in una guerra tra gang e riconosce nel tatuaggio dell'imputato l'appartenenza a una delle bande. Tutti sono animati da un desiderio di idealismo ma tutti hanno una storia personale con cui devono farei conti. Clint Eastwood compone con la giuria, con l'accusa e con la difesa, individuando la complessità psicologica di ciascuno dei suoi personaggi e dispiegando la gravitas del film nelle interazioni tra i personaggi. Nessun ruolo, nemmeno il più piccolo, cede alla caricatura, attraversando conflitti intimi e rivelando insieme la fragilità del sistema legale americano, quando pregiudizi e presupposti profondi prevalgono sulle prove concrete, a volte anche con la sincera convinzione di fare del bene. Ma come la sua procuratrice, bussola morale del film, Eastwood non smette di cercare la verità per guardarla in faccia in una sequenza finale sospesa che suona come l'ultima ingiunzione aperta di un autore che non ha più nulla da dimostrare. Affatto interessato a impressionare qualcuno, usa il racconto cinematografico per riflettere costantemente su quello che pensa, convocando una vertigine metafisica. Un'ode al ragionevole dubbio e alla complessità in contrasto con l'attuale polarizzazione delle nostre società e con l'antico riflesso di accontentarsi delle spiegazioni più comode e immediate.
Se la disfunzione delle istituzioni americane non può che portare alla menzogna, quella menzogna finisce per insinuare un'altra forma di istituzione: la famiglia americana. L'autore penetra nel cuore della struttura familiare rassicurante e ideale, virando verso la tragedia o il punto di non ritorno (Mystic River, Million Dollar Baby...). Il danno è stato fatto e il male si accomoda nel focolare domestico dove Justin conversa con la sua consorte al principio del film. Lei si allontana e lo lascia inavvertitamente al buio, spegnendo di riflesso la luce del soggiorno. Un gesto innocuo che dice molto. Il buon cittadino americano, ordinario ma virtuoso, pilastro del sistema democratico, precipita nella notte che lo abita suo malgrado, l'oscurità è entrata nella sua vita molto prima dell'inizio del film. Justin, rovescio di Richard Jewell - innocente che l'opinione pubblica considera colpevole -, è un ex alcolista e il bicchiere che non ha mai toccato la sera nel pub in cui l'imputato discuteva con la vittima non smette di tormentarlo e di amplificare l'abisso. Il bicchiere è il cerchio in cui è rimasto intrappolato, la sua cicatrice, la crepa attraverso la quale è caduto e affonda. Mai bevuto e 'rovesciato' è il prolungamento dell'acquazzone torrenziale di Gli Spietati, è l'acqua nera e pesante di Mystic River con cui Giurato numero 2 condivide una verità impronunciabile e una morale inferiore: punire i colpevoli ideali risparmiando il destino di una meritevole famiglia americana media.
Nicholas Hoult non è Henry Fonda, l'uomo puro e integro, ma un antieroe tormentato che cerca la via d'uscita migliore. Se vuole giustizia, non la vuole a qualsiasi prezzo. L'attore, sguardo laser, bellezza fredda e rigidità posturale, affronta un inferno morale e rende palpabile ogni esitazione, paura e dubbio. Di fronte a lui, riflesso della giovinezza svanita di Eastwood, la pugnace procuratrice di Toni Collette finisce per disertare il tribunale, andare oltre il verdetto e portare avanti la lotta. Un'inversione di strategia politica estremamente contemporanea (e femminista). L'ambiguità che caratterizza il protagonista di Giurato numero 2, giustiziere e colpevole insieme che assiste al suo processo e deve deliberare sul destino di un uomo e sul proprio, aggiunge una nuova pietra all'edificio che il regista ha costruito.
Ieri l'eroe eastwoodiano ci chiedeva di capirlo e persino di amarlo, oggi è un bastardo che ha tradito la legge morale per i propri interessi. Ieri ha dato volontariamente la sua vita e l'ha presa. La sua assunzione è stato il fondamento della sua venerazione, prima ostentata poi sempre più discreta. Ma Justin Kemp è un mondo a parte rispetto al protagonista di Eastwood. Un individuo che si trova ad affrontare situazioni straordinarie, come Richard Jewell o il capitano Sully, causate da lui. L'aporia morale lo conduce in un vicolo cieco dove diventa impossibile seguirlo. Perdonato da chi gli è più vicino, Justin è comunque l'unforgiven a cui la giustizia presenta il conto e nessuna redenzione. Forse è questo il testamento di Eastwood, essere sempre stato dove non te lo aspetti: dietro la porta che si apre sul mistero insondabile della coscienza umana, dentro un epilogo che si gioca sui soli volti di un attore e di un'attrice, nella conclusione (?) struggente di una filmografia che non ha mai smesso di guardarsi in faccia.
In un Paese in cui la verità (fattuale) viene denigrata o totalmente ignorata, Clint Eastwood prende una posizione indispensabile.